Millanta cose che mi sono accadute e che sembra impossibile mi siano accadute e che invece mi sono accadute #2

Come la tradizione cinematografica insegna, tutte le opere di successo DEVONO avere un seguito. Il Padrino, Matrix,  Ritorno al Futuro, Indiana Jones, Avatar, Mission Impossible … e chi minchia sono io per esimermi?

Quindi alla luce di quello che mi è successo dieci minuti fa vi allieterò la serata con l’ennesimo capitolo delle cose che capitano a me e solo a me. In questo caso le mie rocambolesche avventure in strada. Signori e signori ecco a voi

TATI E I MEZZI DI TRASPORTO.

Metti che una poveraccia sia giunta per un miracolo quasi divino alla fine di una giornata di lavoro massacrante.

Metti che quella  poveraccia abbia un solo sogno: arrivare a casa ed infilarsi sotto la doccia. E che stia visualizzando sé stessa pulita e profumata spaparanzata in pigiama sul divano.

Metti che la suddetta decida di sbrigarsi e che per farlo prenda la superstrada che collega il centro città a casa dei suoi genitori e che felice e contenta metta su ” Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band a tutto volume nell’auto.

Che cosa potrebbe accaderle di male? Un pirata della strada? Un cane che attraversa? Un matto in bicicletta? No! Ovvio che no! Queste sono robe da persone pseudo normali. Cose che capitano a tutti o quasi. Niente di cui scrivere a casa insomma. Queste sono cose che potrebbero capitare a voi. Non a me.

A quella poveretta, che sarei io, doveva necessariamente accadere una cosa incredibilmente sfigata e pericolosa.

A me dovevano fulminarsi entrambi i fari. Entrambi! Contemporaneamente!

Un secondo prima andava tutto bene, l’attimo dopo ero in superstrada immersa nell’oscurità con la spia degli anabbaglianti perculativamente accesa, verde e bastarda.

Mi sono fatta 6 km con le 4 frecce accese e gli abbaglianti fissi per evitare di essere uccisa ma a che pro? Tanto morirò lo stesso non appena mi prenderanno tutti i colpi degli automobilisti che mi si sono rivoltati contro nei modi più estrosi quando venivano accecati dai miei fari alti e luccicanti.

Ma alla fine di che cosa dovrei stupirmi?

Io sono abituata alle doppie istantanee dipartite! Come quella volta l’anno scorso in primavera quando barcollante sulla mia Olandesina dell’89 sugli infimi sanpietrini del centro storico, con l’ipod nelle orecchie “1977” a palla, mi sono accorta che non uno ma tutti e due i freni della bicicletta si erano bellamente staccati nello stesso momento.

Dio ciclista!

Ho tentato di frenare puntando i piedi a terra, tentando di pensare alla mia cara pelle e non al prezzo delle mie meravigliose ciabattine con il tacco e poi, accorgendomi di peggiorare le cose, ho messo in pratica il piano B iniziando a gridare AIUTOOO e seppellendo la mia dignità six feet under. Stavo per mettermi a piangere dalla disperazione, mi immaginavo già spiaccicata al muro di travertino con i denti sparsi in bocca in ordine sparso ma grazie al cielo (non a caso stavo ascoltando “Angel Interceptor”) sono stata salvata da un provvidenziale passante che tentando di non collassare dalle risate mi ha afferrata ( e fermata) al volo impedendomi di finire di testa  dentro la fontana “dei cani”.

Lo scorso anno comunque è stato denso di incidenti paradossali.

Celeberrimo quello che mi ha vista protagonista in un glorioso venerdì sera d’inverno quando dopo una serata passata a sbevazzare con le mie amichette mi apprestavo a tornare a casa.

Arrivata ad una grossa rotatoria (per gli ascolani – quella delle “Tofare” – ) l’ho imboccata e mentre lo stavo facendo ho visto un’altra auto che veniva dalla direzione opposta alla mia imboccare la stessa rotatoria.

Al contrario.

Terrorizzata mi sono spostata il più possibile a destra verso l’esterno della rotatoria. Il tizio folle ha fatto lo stesso nella direzione opposta. Ci siamo fermati affiancati. Io ho accasciato la testa sul volante perché stavo per vomitare dalla paura. Cuore a mille nemmeno la forza di bestemmiare. Lui è uscito dalla sua macchina, ha aperto la portiera ed è venuto da me. Mi ha bussato sul finestrino. Io l’ho abbassato. E ho sentito la musica uscire dalla sua macchina. Io stavo ascoltando All These Things That I’ve Done. Lui Somebody Told Me. Che per chi non lo sapesse non solo sono canzoni dello stesso gruppo (The Killers) ma si trovano anche nello stesso album (Hot Fuss) e sono l’una di seguito all’altra. Entrambi siamo stati colti da immediata ridarella ma comunque decido di fare un po’ l’offesa.

Quindi lo guardo e gli dico “Ma sei ubriaco?”. Lui mi risponde “No, I’m English”

Abbiamo ricominciato a ridere e abbiamo riso venti minuti. E lui mi ha anche offerto una birra. Che aveva in macchina. In confezione da sei. Ovvio.

Di gente che allegramente sfida la morte contromano ne ho beccata altra nella mia vita. Uno sull’autostrada Ascoli – Mare sfrecciava temerario nel mio stesso senso ma sull’altra corsia. Ho chiamato subito i carabinieri spiegando la situazione e loro mi hanno chiesto se avessi preso la targa. Quando ho risposto “ovviamente no” si sono anche spazientiti. Certo. Sono la donna bionica io. Vedo attraverso il cemento del New Jersey non lo sapevate?

Un’altro (inglese di spirito) invece una volta non solo a momenti non mi ha uccisa sotto il mio studio ma voleva avere anche ragione. Ne era convinto. Mi ha urlato contro “ma dove cazzo hai preso la patente???” ed io con la mia infinita grazia ho risposto “alla scuola guida degli stronzi proprio come te!” .

Contromano non si va. Io però ci vado. In bicicletta giornalmente. Non esiste la segnaletica stradale per le biciclette. Io passo con il rosso, vado contromano, mi infilo ovunque e quando un vigile mi lancia sguardi densi di odio sfodero il mio sorriso migliore e lancio maledizioni sottovoce.

Ho un bel caratterino lo so. E nel silenzio della mia macchina do assolutamente il meglio di me. Come tutti.

Corna, gestacci, parolacce, occhiatacce piene di astio e insulti volano liberi. Una volta (avevo ancora il foglio rosa) un tizio a San Benedetto del Tronto ha osato tagliarmi la strada con la sua vespetta. Dipinta di rossoblu. Ho tirato fuori la testa dal finestrino e gli ho urlato “Vaffanculo pesciaro maledetto”. Lui è sceso dalla vespa e si è avvicinato minaccioso urlandomi parole irripetibili. Davanti a mio padre che sapeva benissimo di essere dalla parte del torto. E che mi ha guardata e mi ha urlato “scappa cretina!”

Sono ripartita sgommando. Chi viene dalle mie parti sa quanto e come ho rischiato la vita.

Ma quello era proprio un maledetto pesciaro ed io da ascolana doc non ho potuto esimermi.

Alla prossima!

(se vi siete persi “Tati e la tecnologia” cliccate qui )

 

 

12 pensieri su “Millanta cose che mi sono accadute e che sembra impossibile mi siano accadute e che invece mi sono accadute #2

  1. Mi scuso con tutti per la mancanza di accento sulla e 😦 ho fatto un casino con l’iPhone e non riesco a correggere. Perdonatemi ;(

  2. Finalmenteeee,l’attesissimo seguito di “Tati e la tecnologia”!Che ridere…. la scena dell’inglese è fenomenale. Quella del pisciaro ancora di più.
    Per fortuna non andiamo in macchina insieme perchè saremmo molto pericolose:io insulto tutti:)
    Per fortuna x2 che non abiti a Verona,cara mia,dove i vigili sono pronti a tutto pur di multare, e multano anche le poverine in bicicletta contromano e con l’ipod….
    Tutta colpa della Lega Nord:DDD

    • “Sei ubriaco?” “No I’m English” è una delle cose più belle mai sentite 😀

      “All the things that I have done” è un grandissimo pezzo, ma il mio preferito loro è “My list” da “Sam’s Town” 😉

      Sul pesciaro: poi dicono che gli italiani sono razzisti. Odiamo persino il nostro vicino di paese, figuriamoci uno che viene da 3000 km di distanza :§

      (questa era solo una brutta battuta eh, non sto implicando che tu sia razzista – non vorrei ricevere improperi virtuali e dover scrivere tonnellate di commenti per scusarmi e spiegarmi :p)

  3. non c’entra niente…lo so, ma volevo segnalarti (se già non lo conosci) il sito dello scrittore Paolo Nori..questa storia è tratta da lì:
    Tomàś Bata, il fondatore del calzaturificio Bata, nel 1904 va in America per imparare a fare la scarpe in modo industriale. Ha con sé «un elenco di seicentottantotto domande alle quali cerca risposta». In America, Bata «si imbatte per la prima volta nel concetto di orologio da polso, e si rende conto che gli americani misurano il tempo in minuti, che sono la principale unità di misura della produzione». Tornato a Zlín, la cittadina cecoslovacca dove ha sede il suo calzaturificio, «dipinge sul muro della sua officina un’enorme scritta: UN GIORNO HA 86.400 SECONDI. La gente legge e dice che al figlio del vecchio Bata ha dato di volta il cervello».
    Qualche settimana dopo Bata scrive sul muro del gommificio, «in lettere della grandezza di un uomo: GLI UOMINI PER PENSARE – LE MACCHINE PER SFACCHINARE». Dopo di che «recinta la fabbrica con un muro di mattoni. Sul muro fa scrivere: NON DOBBIAMO AVER PAURA DEGLI ALTRI, DOBBIAMO AVERE PAURA DI NOI STESSI».
    Qualche anno più tardi, nel 1926, quando Bata è diventato sindaco di Zlín e la sua azienda è la più grande della Cecoslovacchia e la Cecoslovacchia è la più grande esportatrice di calzature del mondo, sul muro del suo feltrificio Bata avrà fatto scrivere, sempre in quei caratteri giganti: NON LEGGETE ROMANZI RUSSI. E, sul muro del gommificio: I ROMANZI RUSSI UCCIDONO LA GIOIA DI VIVERE.
    Passato qualche anno, nel 1933, il fratello di Tomàś, Jan, che gli è subentrato alla guida della ditta, sarà accusato dai nazisti di essere ebreo, dai francesi di essere tedesco, dagli italiani di attaccare Mussolini e dai polacchi di aiutate i sovietici.
    Lo stesso Jan, nel 1938, «all’indomani dell’annessione dell’Austria al terzo Reich, avendo un vago presentimento del destino riservato dalla sorte alla Cecoslovacchia», fa pubblicare su Zlín, quotidiano di sua proprietà, un articolo che parla di un’idea che gli è venuta al mattino appena sveglio: trapiantare la Cecoslovacchia in Sud America.
    «Il Brasile, – c’è scritto in quell’articolo, – che occupa una superficie grande quanto l’intera Europa, ha in tutto 44 milioni di cittadini. L’Europa ne conta 480 milioni. Per quale ragione impuntarsi a cercare un terreno di sviluppo in quest’Europa già fin troppo affollata? Perché non laggiù invece? Ci conviene sloggiare. L’ultima guerra è costata al mondo otto bilioni di corone cecoslovacche. Il trasferimento di 10 milioni di persone in Sud America verrebbe a costare soltanto 14 miliardi di corone. Peraltro con soli 140 miliardi i nuovi arrivati potrebbero mettere su delle gran belle fattorie. C’è forse un buon motivo per fare una cosa tanto stupida, e rovinosa per l’umanità, qual è la guerra? Anche la Patagonia, nel Sud dell’Argentina, farebbe perfettamente al caso nostro».
    L’idea di guardare al mondo come proprio orizzonte è, del resto, famigliare, ai Bata; nel 1932 due incaricati di Tomàś erano partiti da Zlín per verificare le possibilità del mercato nordafricano. Avevano mandato in sede due telegrammi. Il primo diceva: «Qui nessuno porta scarpe. Non c’è mercato. Rientro a casa». Il secondo: «Tutti girano scalzi. Mercato dal potenziale enorme. Spedite scarpe al più presto».
    Ciaoooo e buon weekend

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  7. Leggo solo ora (purtroppo)… e dopo “alla scuola guida degli stronzi proprio come te!”, alla mia giornata è tornato il sorriso! 😉 grazie

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